In occasione della perdita di una persona cara, è nostra usanza donare a
parenti e amici un ricordo di colui che ci ha lasciato, 
la  foto e poche frasi   in ricordo di....
Anche questi piccoli oggetti, fanno parte della nostra storia, del nostro vissuto.

 

 

   In ricordo...

 

 

1935/40

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non è facile dire: "E’ morto zio Fernando".

 

In molte occasioni l’ho sentito ripetere: "no, no… stavolta  ce    semo… sto troppo male…" Invece nonostante gli acciacchi superava ogni malanno.

Quando l’ho visto un’ora prima che morisse, avrei giurato che anche stavolta ce l’avrebbe fatta, quasi godesse di un’esenzione speciale nei confronti della morte. Chi l’ha conosciuto ed ascoltato, sa come amasse raccontare la sua vita, ma la sua vita al di là  del semplice racconto, era un punto di riferimento delle radici di tutti noi che lo rendevano un prezioso archivio vivente della nostra storia. Proprio per questo ho imparato ad amarlo e a rispettare i suoi pensieri.

Quasi per gioco tempo fa ho voluto registrare la sua voce ed i suoi ricordi, e sono contenta di averlo fatto, perché il bagaglio della sua conoscenza forse non andrà definitivamente perduto. Tutti quelli che muoiono hanno la speranza di continuare a vivere nella memoria dei figli. Zio Fernando di figli non ne ha avuti, ma è sempre stato presente negli avvenimenti tristi o felici della nostra vita. Sicuramente ci mancherà. Facendolo rivivere nei nostri ricordi, come lui ha fatto con quelli che sono stati prima e che non sono più, gli avremo regalato un pezzetto di eternità.

                                                                                                                                             Ciao  zio Fernando!

 

Un pensiero letto alle esequie in SS. Marcellino e Pietro  da Marina Rossi (bisnipote).

 

 
   
   
   
   
   Ciao mio amato Fulvio, ciao papà

chissà quante volte in questi anni trascorsi accanto a te durante la tua lunga infermità, ognuno di noi tre avrà pensato a cosa dirti nel momento in cui sarebbe arrivato il momento del tuo trapasso.

Adesso che questo momento è giunto, a pensarci bene non c’è poi così tanto da aggiungere a tutto quello che, ognuno di noi a suo modo, non ti abbia già comunicato, non solo con il linguaggio diretto delle parole, quanto nella maniera che più di ogni altra tu ci hai sempre insegnato: ovvero l’esempio concreto dei gesti e dei comportamenti quotidiani, attraverso i quali, giorno dopo giorno, ci hai trasmesso i valori fondamentali su cui fonda la nostra famiglia e che ci hanno tenuto saldamente uniti, anche e soprattutto durante i tanti momenti della tua sofferenza fisica. Però, riteniamo sia invece giusto e doveroso esprimere alcuni pensieri verso tutti quelli che sono intervenuti oggi per renderti l’ultimo saluto, molti dei quali non ti hanno mai conosciuto, oppure hanno avuto modo di incontrarti solamente durante gli ultimi anni di infermità.

Ebbene, Fulvio era veramente una persona “speciale”, straordinariamente buona, tenera, dolce, garbata, che ha affrontato tutte le diverse fasi della propria esistenza, sempre all’insegna dello stesso comun denominatore: l’amore. Innanzitutto l’amore per la sua famiglia, per la quale ha speso oltre ogni energia e sacrificio avesse potuto e, più in generale, l’amore per la vita, in tutte le sue manifestazioni, l’amore e rispetto per il prossimo, dal parente più stretto al semplice conoscente. E’ stato, il suo, un continuo prodigarsi e dedicarsi al prossimo, ogni qualvolta  fosse necessario, ma anche quando il suo aiuto non era espressamente richiesto, fino quasi ad apparire talvolta, per assurdo, “troppo buono”. Faceva questo spontaneamente, senza sovrastrutture o manie di protagonismo, ma solo perché la sua indole era quella, quella di una persona che amava le persone, amava stare con loro ed amava che loro stessero bene: semplicemente era Fulvio, il papà, il marito, lo zio, l’amico, il collega, il vicino di casa, su cui poter contare in ogni occasione, quello che, magari qualche volta in modo un po’ caciarone e confusionario, ti aiutava a risolvere un problema, o comunque ci provava sempre e sempre riusciva a trovare il modo per starti vicino, anche solo facendoti sorridere nei momenti difficili.

Sarebbero decine e decine gli aneddoti da raccontare in proposito, alcuni dei quali, sconosciuti anche a noi, li abbiamo appresi  in questi ultimi due giorni da parenti ed amici che sono venuti a salutarci a casa, ma non è ovviamente questa la sede per la farlo.

Ciò che invece ci preme testimoniare a tutti voi è il modo con cui ha affrontato gli ultimi terribili 18 anni della sua vita che lo hanno quasi completamente disabilitato, privandogli la possibilità di compiere la quasi totalità delle cose che lui tanto amava.

Ebbene, non era questo che lo faceva soffrire, bensì il fatto che, di colpo, violentemente, si erano invertiti i ruoli: era lui, adesso, che suo malgrado si trovava ad aver bisogno dell’aiuto degli altri. Ed è allora che lui, una volta di più, ha dato prova della sua straordinaria forza e del suo amore per la vita: ha saputo adattarsi alla nuova invalidante condizione, senza mai rassegnarsi e senza mai esternare un lamento, né una recriminazione, ma riuscendo invece a trarne delle inimmaginabili e fortissime energie morali che riusciva a trasmettere a chiunque gli stesse accanto, sempre con lo stesso sorriso e la stessa dolcezza di prima.

Era lui che, con questo ennesimo esempio di serenità e grande dignità, dava a noi la forza per sostenerlo ed accudirlo, lasciandoci fino all’ultimo giorno il messaggio più importante e l’insegnamento su come affrontare ogni situazione, soprattutto le più difficili.

Era lui che, quando percepiva la comprensibile difficoltà e l’imbarazzo di chi si trovava di fronte alla sua assurda ed apparentemente insopportabile condizione, ancora una volta era pronto a prendere in mano la situazione e a consolare l’altro, magari solo sdrammatizzando la scena, facendo spallucce ed uscendone con qualche battuta delle sue.
Ogni volta che subentrava l’ennesimo peggioramento fisico, lui riusciva a smentire puntualmente anche le più pessimistiche previsioni dei medici e tornava sempre più forte di prima: i medici dicevano che aveva un fisico eccezionale ed una capacità di resistenza del tutto fuori dal comune. Questo è probabilmente vero, ma quello che è assolutamente vero è che fuori dal comune erano la sua forza mentale, il suo cuore ed il suo amore per la vita, cui è rimasto aggrappato fino alla fine con un attaccamento che poteva sembrava ingiustificatamente ostinato solo agli occhi di non lo conosceva veramente.

Ora che non c’è più, ci piace ricordarlo con l’immancabile cravatta nella sua macelleria, “bottega” come la chiamava lui, a scherzare con i suoi clienti, magari con appeso sui ganci della carne l’ultimo dei suoi quadri finito di dipingere la sera prima a casa, oppure ad imitare dentro la cella frigorifera il verso del gallo per dimostrare ai clienti la freschezza del suo pollame.

Oppure, ci piace ricordarlo con la sua vecchia ed enorme Ford, accompagnare ad una partita di calcio un’intera squadra di 11 bambini sistemati in ogni dove, certi che se l’avesse fermato la polizia, gli avrebbe sorriso dicendo: “sì lo so, ho sbagliato e chiedo scusa, ma sò ragazzini e ce tengono tanto a stà partita e gli altri genitori c’avevano da fare….

Ora, ci piace immaginare che adesso stia finalmente riposando in pace in cielo, mentre dall’alto della nuova prospettiva dipinge uno dei suoi bellissimi paesaggi, dicendo a tutti noi: “…a belli de casa, state tranquilli che qui è tutto a posto….”.

Ciao Fulvio, ciao papà, ciao nonno e grazie di tutto.

Pina, Fabrizio, Alessandro e Adriano

 

 

Dal giornale ViaVai Dicembre 2001